Cara sindrome di tourette,
ti do del tu perché ormai hai voluto prendere confidenza con tutti noi.
Diciamocelo chiaramente: io non ti ho mai invitato a sederti alla nostra tavola e questa tua invadenza è francamente un atto molto poco educato (e qui mi limito).
Si, io non sono una di quelle che vede il bicchiere mezzo pieno e quando è arrivata la diagnosi di Teo ho solo visto nero. Intorno a me tutti vedevano e vedono il grigio. Io lo voglio dire: “Io no. Ti ho combattuto e ti combatto”.
Perché è evidente che quei tic, quel movimento continuo, quei fastidi a volte incredibili sono un ostacolo alla vita di un bambino.
Perché cambiarsi ogni mattina 3 magliette e non so quanti calzini fino a trovare quello giusto è solo uno dei tanti piccoli problemi con cui ci costringi alla tua presenza.
Perché dover spiegare ai propri compagni (e a volte anche agli adulti) cos’è un tic richiede un grande coraggio.
Eppure a volte ci penso (ma perdonami se riesco a farlo solo nei giorni in cui ci fai riposare un po’), penso a te, Tourette, e ai tic come uno spray magico che ti rende trasparente e tremendamente visibile.
Un ossimoro, qualcuno direbbe. Rendi trasparenti tristezza, rabbia, angoscia, ma anche eccitazione, sorpresa, gioia tutte lì visibili in un gesto in più, in un movimento in più.
Un suono, uno spazio, una consistenza, tutto colpisce Teo. In realtà tutto colpisce tutti noi ma tu fai in modo che tanto del suo mondo interno colpito sia visibile. Trasparente e visibile. Si. Rendi Teo visibile con continuità, senza sosta.
E allora penso che se c’è un po’ di bianco da mescolare al grigio, non sia fatto dall’intelligenza e l’estro che spesso accompagna queste persone e che è giustamente riportato in letteratura. Il nero con cui ti guardo si sporca di bianco con il pensiero che il mio Teo avrà imparato a non aver paura delle emozioni che lo scuotono, a non aver paura di essere visto.
Lo ammetto, sono una madre, non avrei pensato che mio figlio imparasse così questo coraggio. Eppure io lo guardo a volte e ripeto a me stessa “Un giorno potrò raccontarti tutto, oggi sei piccolo e non sai che lavoro eroico stai facendo”. Vorrei esistesse un podio del coraggio per farcelo salire.
E ancora il nero si sporca di bianco per come ci hai costretto, da genitori, a non poterci permettere alcuna indifferenza. Come in tanti momenti ci costringi a farci domande su cosa lo stia colpendo in quel momento. Sono ormai un genitore diverso. Ma no, non ce la faccio a dirti grazie oggi.
Forse un giorno si, un giorno quando il mio grande eroe scoprirà di aver affrontato la sua battaglia e il prezzo pagato non sarà stato troppo alto. Forse sarà proprio lui a insegnarmi dove prendere altro bianco da versare per non vedere solo il nero nei ricordi.
Proprio come quando, la settimana scorsa, mi ha detto di essere eccitato per la prospettiva di un bel pomeriggio ed io ho riposto: “E’ bello! significa che sei vivo”. E lui con il suo sguardo serio ha affermato: “mamma, se l’eccitazione è il segno della vita e io faccio i tic perché sono eccitato, allora i tic sono come il segno che sono vivo”.
Il suo grigio è di certo più chiaro del mio.